giovedì 29 gennaio 2015

Preludi a Guerra in Purgatorio: Blake

Penultimo racconto per Nephilim.
Il prossimo giovedì parto per Novegro (MI), per la fiera dei comics. Se vi capita di passare mi troverete con uno stand, i fumetti di Nicola Tini e i libri fantasy di Stefano Mancini!
Buona lettura intanto!


Blake


«Ciao mamma».
L’infermiere ha detto che oggi non è un buon giorno. Lei si volta a guardarmi. Ha gli occhi sporchi e incrostati. Le palpebre abbassate. Torna a guardare il paesaggio oltre la finestra e sembra non accorgersi più che sono qui.
«Ti trovo bene stamattina. Hai fatto colazione?», non l’hanno lavata bene. La soluzione glucosata è quasi finita. Andrò a parlare con la capo reparto. Questo nuovo ragazzo non va bene. Le do un bacio sulla testa.
La stanza però è pulita. Un po’ troppo calda. Meglio toglierle la coperta.
La afferra e la tira a sé. Mi osserva con aria di rimprovero.
«Vuoi tenerla? Ma è molto caldo», continua a stringerla. Lascio la presa e le accarezzo la mano. «Va bene mamma, tieni la coperta».
Mi siedo accanto alla sua poltrona. Fuori gli alberi sono scossi da un vento forte. L’estate sta finendo e la malattia avanza in fretta. È meno di un anno che vive qui. Non penso ricordi più casa o la vita di pochi mesi fa. Quando è entrata era autunno e aveva dei momenti in cui era lontana, persa. Adesso ha dei momenti in cui ho l’impressione che mi riconosca. Non mi racconta più dei libri che legge, non mi chiede più come sto, come va la clinica. Lascio che il rumore dell’orologio alla parete mi tranquillizzi e scandisca un po’ di questo tempo. Il suo odore è sempre lo stesso. Avrei voluto che le lasciassero i capelli lunghi, purtroppo non è facile quando non possono più prendersi cura di sé da soli. Mi chiedo quanto tempo ci vorrà prima che mi dicano che è tempo di trasferirla al piano di sopra. Dove sono i terminali, quelli che non possono più stare soli.
«Volevo parlarti di una persona», non sembra ascoltarmi ma va bene lo stesso. «È un ragazzo che ho conosciuto qualche mese fa. Un infermiere. È venuto nella mia clinica per un tirocinio. Una bella persona. Molto bravo. I pazienti di cui si è preso cura sono migliorati tanto. Ha un modo di parlare con loro che li tocca in un qualche modo speciale. Ricordi quel barbone sempre ubriaco di cui ti parlavo tempo fa? Quello che non avevamo mai convinto a farsi una doccia e un trattamento antiparassitario? Beh Jonathan c’è riuscito dopo aver passato con lui qualche ora a parlare. Certo questa storia non sembra più così bella ora che la racconto. Ma ti giuro che quando Jonathan è venuto a chiederci un accappatoio e del sapone ha lasciato tutto lo staff senza fiato. Un piccolo miracolo».
Mi avresti sorriso con malizia e avresti detto: non mi racconti tutto ragazzo. Sputa il rospo, avanti.
«Hai ragione mamma, non ti sto raccontando tutto. Come primario non avrei dovuto spostare il nostro rapporto su un piano personale, ma lui è così… speciale. Non so come spiegartelo. I suoi occhi, i suoi modi. È come se venisse da un altro mondo. Un mondo più bello. Gli ho chiesto di uscire. E so cosa stai per dire, è stata una mossa rischiosa. Ma il suo tirocinio era quasi finito e insomma ho deciso di rischiare. Comunque mi ha detto di no. E non mi ha quasi più parlato per il resto del suo tempo in clinica. Ma l’hai già capito. La storia non è finita qui. L’ultimo giorno di tirocinio mi ha lasciato un biglietto con segnato un numero di cellulare, dicendomi che adesso sì, potevamo uscire insieme. Un bel tipo eh? Uno che sa il fatto suo comunque. Siamo usciti ed è stato molto bello. Lui è molto più giovane di me, ma abbiamo parlato di tutto e mi sono sentito bene. Al secondo appuntamento c’è stato un bacio. E al terzo anche. Ma non siamo andati oltre questo. Ha iniziato a lavorare in una casa di riposo per anziani. Non è molto lontano dalla clinica. Ora è fuori per una vacanza. Non lo sento da un po’ di giorni e mi manca. È strano. Una persona può entrarti nel cuore in un attimo. E lo scopri solo quando ti giri a guardare da un’altra parte. Quella parte che ha trovato uno spazio dentro di te reclama di essere accompagnata e allora ti accorgi di lei. E ti domandi quando è arrivata. Ma dopotutto non puoi fare niente se non accettarla e accarezzarla».
Mi appoggio alla sua spalla e inspiro il suo odore.
«Mamma? Penso di essermi innamorato».
Alza il braccio e indica qualcosa fuori della finestra. Osservo la sua mano ferma, i suoi occhi limpidi. Mi afferra il mento e mi volta la testa. Non vuole che guardi lei, vuole che guardi fuori. Indica verso il cielo.
Una nuvola. C’è solo una nuvola. Bianca e tonda su un cielo luminoso di vento di fine estate.
Abbassa la mano, si gira verso di me e sorride. Il frinire delle cicale sale di volume o forse mi accorgo solo ora di loro. La abbraccio e la stringo a me.
«Sì mamma, quella nuvola è molto bella».

venerdì 23 gennaio 2015

Preludi a Guerra in Purgatorio: Morgan

sì, sono bastate due settimane e ho perso il ritmo. il racconto dovevo postarlo ieri. ma ieri sono stato incasinato a litigare con una commessa cretina di una libreria dove ero andato a scrivere. una megera di proporzioni bibliche. 
forse la metto come cattiva nel prossimo libro.
ma tipo che il mondo finisce se nessuno andrà a fermarla nel reparto Arte dove si annida.
bene. ora che è chiaro che la colpa è la sua e solo la sua, ecco il racconto del giovedì.  


Morgan


«Quindi, sarai così gentile da nasconderlo per me?». La Strega mi osserva con aria di sufficienza. Starà ripensando ai soldi che le ho offerto. Ah! Qual disfatta, portare a casa un “sì” per denaro e non per virtù.  
«Un pugnale Infernale a New York. Merce di contrabbando che scotta».
Alla scuola di vodoo doveva avere l’insegnate di sostegno. «Carissima, è per questo suo scottare che sono venuto da te, la migliore sulla piazza, colei che è in grado di nascondere un ago in un pagliaio, colei che potrebbe far sparire persino una goccia d’acqua nel cielo! Colei che, con un lauto compenso, mi faciliterà la vita nella grande mela». Forse ho esagerato con le cazzate.
«Mi lusinghi. Non vorrai mica fare qualcosa di male con quel pugnale? Non che abbia pregiudizi perché sei un Infernale, intendiamoci».
Ho sbagliato a contattare questa demente, altro che esagerazione di cazzate. «Mai sia! Sono un diavolo gentiluomo», le bacio la mano. A questo punto le provo tutte. A trovare un altro incantatore ci metterei troppo tempo e Ryan è deciso a partire. Cerchiamo di capire se è in grado di aiutarmi e facciamola finita. «Mi è stato detto che lei è tra l’altro a capo di una potente congrega», se non è così ti scarico senza nemmeno salutarti brutta arpia. E il pugnale rimarrà a Phoenix.
«Lei ha molte informazioni… di riguardo».
Di riguardo? Di riguardo? E sorridi pure. Che scocciatura quando cercano di parlare forbito. Comunque se non potranno i soldi, potrà virtù. Colà, dove il vile denaro non può arrivare, arriva altro. «Ma lei è davvero una dama d’altri tempi. Quindi, questa congrega?», cerchiamo di arrivare a un punto o le sbatto la testa contro il muro.
«Si chiama la Congrega della Notte Notturna».
«Ma non mi dica! Che nome originale, eppure evocativo. Un’annominazione, nevvero?».
«Eh?».
Ho esagerato. Le figure retoriche non le studiavano nei corsi di recupero serali da megera. «Nulla, nulla. E mi dica. È quindi in grado la sua congrega di nascondere agli incantatori degli Eterni la mia cara lama Infernale?»
«Possiamo tentare».
«Ecco, con il mio amico supererò i confini degli stati neutrali domani e in una settimana vorremmo essere a New York. Non penso avremo tempo per un tentativo».
«Non posso darti nulla per certo. Gli incantesimi degli Eterni sono molto potenti. E non sapremo se le nostre dissimulazioni hanno funzionato fino a che non avrai passato il confine.»
«Allora ho una proposta». La guardo intensamente e mi avvicino un po’ a lei. «Sei mai stata a New York?».
«No».
Evviva l’ignoranza e la provincialità, «che ne diresti di lasciare la tua bella Phoenix e di visitare la big city con me? Sarò il tuo Virgilio, il tuo Cicerone», vacci piano che non ti capisce, «sarò il tuo… guida!», mi sorride. Ecco ora ha capito di che parlo. Che fatica.
«Non saprei, la mia congrega…»
«Siete una congrega di meravigliose e potenti Streghe. Potrei farvi venire, tutte». Fatti forza ragazzo mio, avrai un sacco di lavoro da fare, «e con l’occasione potete portare con voi il mio pugnale».
«Ma potremmo essere attaccate dagli Eterni se i nostri incantesimi falliscono».
«Vero, ma gli Eterni non hanno molto potere sugli Umani. Voi dovrete solo dire che il pugnale è un oggetto che avete comprato al mercato nero e che non siete a conoscenza della sua storia. Immagina il brivido del contrabbando, l’adrenalina dell’insondabile futuro, il fiato sospeso dall’apprensione».
«Questa cosa è molto più pericolosa di quello di cui avevamo parlato al telefono».
«Lo so. Ma non mi aspettavo di trovare una Strega di tanto potere quanto fascino. La tua vista mi fa pensare a mille altre possibilità. E non parlo solo di magia e armi Infernali».
«Ah no? E cosa avevi in mente?».
Mi sfilo la maglietta, fisso i miei occhi nei suoi. O la va o la spacca.
«Ma cosa? La tua testa».

«Sono corna. Venti centimetri l’una. E non sono la mia parte più lunga». Finisco di farle crescere fino alla loro massima estensione. Amo le mie corna. Ora tocca mettere in mostra il resto. E il mio pugnale arriverà a destinazione. Oh sì che arriverà a destinazione. Ryan mio quanto si allunga la tua lista di debiti. Guarda con che erinni mi tocca andare a letto.

giovedì 15 gennaio 2015

Preludi a Guerra in Purgatorio: Alexander

Secondo giovedì, secondo racconto dei preludi di Nephilim! Stavolta c'è lo Stregone Alexander, alleato dei Celestiali e amico di Emily Feather. 


Alexander

Praticare la magia vuol dire realizzare qualsiasi cosa. Questo è tanto più vero quanto meno ne sai. Chi non conosce la magia non ne vede gli ostacoli, le difficoltà, il peso. Il primo incantesimo lanciato da un bambino può essere più potente del complesso rituale di un arcimago perché quel bambino segue solo l’istinto e l’immaginazione. L’unico modo per tornare a quello stato di grazia è superare un confine dal quale non si può tornare indietro. Chi l’ha fatto non è più se stesso ormai. La magia non ha limiti, quindi l’unico limite sei tu. Così ti trovi a dover accettare la tua impotenza e a convivere con incapacità solo tue. Anni a sbattere la testa su un libro per riuscire nel più semplice incantesimo. Si impara l’umiltà e la frustrazione. Perché se la magia può tutto, beh, tu di certo non puoi.
Eppure quando Emily mi osserva vede in me un potente incantatore. Qualcuno che può tutto. Un incantatore che non conosce limiti.
Non sa quanto è vasto il vuoto sotto la superficie, non sa quanto è vorace il mostro che nascondo in cantina.
Tutti gli anni di studio non mi avevano preparato ad affrontare questa realtà semplice e terrificante: lei crede in me. È un pensiero che mi abbatte e disarma. E non c’è magia che possa usare per aiutarmi.
La magia è fatta di parole e di gesti che delineano un’immagine. Un’immagine tanto potente da soppiantare la realtà.
Quando diventi uno Stregone la tua immaginazione diventa concreta e così devi imparare a controllare tutto quello che il resto degli uomini non pensa di dover gestire. Quello che desideri, quello di cui hai bisogno, quello che temi, ciò che sogni, gli incubi che ti svegliano di notte. Tutto può diventare reale, solido e tangibile. Usare la magia attiva cascate di eventi che non si possono calcolare. Ogni Stregone è la farfalla che fa esplodere una tempesta dall’altra parte del mondo. Ogni Stregone è una farfalla che deve monitorare tutto quello che la riguarda.
Ecco. Forse è questo che dovrei dire domani a Emily.
Se vuoi diventare una Strega dovrai imparare a controllare tutto. Pensieri, emozioni. Tutto dovrà ricadere sotto il tuo occhio vigile. Sarai una farfalla che esplode tempeste.
Ma forse non servirà. Se domani mi rivelerà di essere una Celestiale, se ho ragione a pensare che lo sia, allora non dovrò preoccuparmi più di tanto. Nessuno della loro razza è mai diventato un incantatore. Non possiedono il Talento. Lei non sarà un’eccezione. Alla prima matita che riuscirà a levitare capirà di aver raggiunto il proprio limite e la questione si risolverà da sola. A me basta avere una scusa per passare un po’ di tempo insieme.
In ogni caso, prima dell’incontro di domani, è meglio rimettere a posto quello che è mia responsabilità. Non voglio ci siano margini di rischio per lei o per i suoi amici.
Chiudo gli occhi e sgombro la mente. Sento il mio corpo astrale allontanarsi dalla materia. Una sensazione che per molti è fastidiosa. Io l’ho sempre trovata molto piacevole.
Quando riapro gli occhi sono seduto sull’erba. Il cielo è illuminato dalle stelle. Non c’è mai la luna da queste parti. La casa assomiglia a quella dove sono cresciuto. La stessa veranda, le stesse finestre di vetro un po’ opaco. Le zanzariere tremano al vento con quel loro rumore impreciso. L’albero e l’altalena poco distanti sono comparsi da poco. Come l’erba che copre tutto. Fino a poco tempo fa la casa era davanti a un campo pietroso e non c’era alcun albero a cui attaccare un’altalena. Il ragazzino si dondola dandomi le spalle. Sono convinto l’abbia messa lui l’altalena. E forse anche l’erba. Un giorno magari lo saluterò. Salgo i due scalini che danno sulla veranda e arrivo alla porta d’ingresso. Apro la zanzariera e busso due volte. Come era di regola a casa. Le regole e le tradizioni devono essere rispettate. Guai a chi non le conosce. La porta si apre ed entro.
Ogni oggetto che si trova qui è un simbolo. Più o meno esplicito e semplice. Una foto di mio padre e quella di mia madre sono rappresentazioni molto chiare del loro ricordo e del valore che hanno per me. Mi sorridono come sempre. Il camino acceso è la mia energia vitale. D’altra parte per capire che quella maschera rappresenta mia nonna bisognerebbe conoscermi a fondo e sapere molto di me.
Il bastone di legno è poggiato sul tavolo, nel centro della sala. Quel bastone più che un simbolo è un ricordo e un ammonimento. Avevo dodici anni e pensavo di essere in grado. Non mi sembrava niente di troppo complicato. Tornare a far germogliare un vecchio bastone di legno. Ne sapevo davvero poco. Non tenterei nemmeno oggi qualcosa del genere. Vita e morte. Meglio non impicciarsi di certe cose. Feci un gran casino con quel pezzo di legno. La magia dei bambini è davvero pericolosa. Per riparare alle conseguenze di quell’incantesimo la nonna dovette richiamare tutto il potere che aveva. Non mi sgridò neppure. Il senso di colpa per quello che successe alla sua faccia fu una punizione più che sufficiente. Non poté più andare a fare la spesa povera nonna. Sempre coperta con quella maschera di legno.
Il serpente dorme come sempre accanto al camino. Da quando è comparso non si è mai mosso, anche se credo mi osservi ogni tanto. Deve essere la rappresentazione di qualche antenato, ma non ho ancora individuato chi sia. In ogni caso non penso sia una minaccia. Come il bambino sull’altalena.
La botola. Appena il mio pensiero va alla botola e alla cantina sento dei colpi provenire dal pavimento. Dei lamenti e grattare sul legno. Lui è sempre lì. E sa che sto pensando a lui. Basta questo pensiero per dargli la forza di muoversi. Incatenarlo dentro il rifugio astrale è stata una mossa che in tanti hanno considerato azzardata. È stata invece una grande intuizione. Qui il mio potere è al massimo, condensato in simboli e quasi ogni cosa è controllata da me. Lui non può accedere alla mia energia anche se ne è circondato e qui non ci sono ombre dove potrebbe nascondersi. Portandolo qui ho osato molto più di quanto non avessero fatto tanti altri prima di me. Grazie a questo azzardo ho potuto spingermi ben oltre i confini che erano stati tracciati. So che lui è chiuso nella cantina, sotto controllo. Lontano da me. Non può uscire. L’unico che può aprire quella botola sono io. Sono al sicuro finché lui è lì.
Batte dei colpi sordi.
Cambia. Tutto cambia Alexander. Un giorno le cose cambieranno anche per me.
Non aprirò quella botola. Tu rimarrai confinato lì sotto per sempre.
Un giorno le cose cambieranno anche per me.
Io non sceglierò mai di liberarti. Non lo farò mai. Con un pensiero chiudo la mente alla sua voce.
Qui è tutto a posto. Mi giro per andarmene e ho l’impressione fugace di un movimento vicino il camino. Mi giro. Il serpente è sempre immobile e addormentato.
Deve essere stata un’impressione. 

giovedì 8 gennaio 2015

Preludi a Guerra in Purgatorio: Emily

L'avevo promesso qualche giorno fa, mantengo la parola solo oggi. 
Pubblico qui il primo racconto che ho scritto per i Preludi a Guerra in Purgatorio. 
La versione completa (5 racconti) la potete scaricare qui se usate kindle, qui se usate kobo o qui se preferite un pdf.
come sia sia, sono gratuiti da tutte le parti. 
e comunque verranno tutti pubblicati anche sul blog!

e adesso me ne torno a scrivere il secondo di Nephilim!




Emily


«Cosa c’è di più triste di un sogno che realizzandosi diventa una realtà senza emozioni?». Mi osservano distratti. Quello sorseggia un martini dry e guarda le tette della tipa con cui è venuto. Lei controlla annoiata l’orologio pensando a che perdita di tempo sia stata uscire con quell’impiegatuccio di banca con le manie di grandezza. «Quando ho deciso di abbracciare il sogno, quando ho deciso di fare tutto quello che era in mio potere per diventare una cantante, mi sono domandata cosa sarebbe successo se questo grande progetto si fosse poi trasformato in qualcosa di noioso. Se questo mare in tempesta si fosse ridotto ad essere un bicchiere d’acqua agitato in mano. Cosa avrei potuto fare se tutto fosse diventato una delusione?». Qualche faccia in più si alza a guardarmi. Forse più per la scollatura che per quello che dico. Va bene. Se mostrare un po’ di pelle può farvi alzare gli occhi dal vostro tavolo per qualche minuto lo farò. Sono qui per rompere i vostri gusci e tirar fuori il mollusco che cerca la libertà dentro di voi. Uscirete da qui un pochino diversi e un pochino migliori. Forse più tristi, forse più felici. Di sicuro non uscirete da qui senza pensare che sia successo qualcosa di importante. Lo farò con la musica, con le parole, e sono disposta a usare, anche solo per un attimo, l’inganno di un corpo avvenente. Alla fine di questa serata non sarà il centimetro di pelle che ricorderete. «Poi ho capito che avrei dovuto fare tutto da sola. Ma proprio tutto. Perché se avessi lasciato andare anche solo per un attimo, quel sogno mi sarebbe sfuggito di mano e non sarei più stata in grado di riconoscerlo.  Il sogno è il mio e solo io avrei potuto mandarlo in una direzione e non in un’altra. E proprio in quel momento, proprio quel pomeriggio che mi ero presa per riflettere sul futuro, ho fatto una scelta e ho deciso che la meta finale sarebbe stata la grandezza e lo splendore. Non avrei accettato niente di meno».
«Sei in un cazzo di locale downtown! Il tuo sogno è già andato a farsi fottere baby!».
Grazie bel maleducato.
«Dal silenzio che c’era le possibilità erano due: o avevo catturato l’attenzione di tutti o eravate morti. Direi che siete proprio vivi lì sotto!», adesso ti faccio vedere io. «Vedi caro ragazzo,» scendo dal piccolo palco sul fondo del locale e cammino tra i tavoli. Lascio il microfono sul palco, tanto la voce la faccio arrivare dove voglio. Ogni tavolino un abat-jour. Molte persone sole. Tanti che fumano. Prendo una sigaretta dalle labbra di una ragazza, un drink dalle mani dell’amica seduta accanto. Sarà un locale da poco, ma diavolo se sanno fare i cocktail qui. Lascio il bicchiere sul tavolino e sorrido alla ragazza. Tiro una boccata di sigaretta e mi rivolgo di nuovo al maleducato. «Il punto del sognare non è tanto dove lo fai ma,» lo raggiungo strizzandomi negli stretti passaggi creati da sedie e tavolini troppo vicini, appoggio una mano sulla sua spalla e gli avvicino la bocca alle orecchie. Fingo di sussurrare facendo ben attenzione a che tutti mi possano sentire con chiarezza, «come lo fai».
Qualche risatina in sala. Iniziano a darmi retta. Quasi quasi mi scoraggiavo.
«Se permetti vorrei allora dirti qualcosa sui sogni, su quello che si realizza in una vita e sull’unica cosa che conta alla fine».
Gli afferro la mano, lui ride ebete, da un insulto pensa di aver ottenuto un rimorchio. Mi studia nel vestito attillato. Segue i capelli che si rovesciano sulla scollatura e scivolano fino ai fianchi. Mi servi perché se porto te dalla mia, allora mi seguiranno tutti. Come dice la sorellona: “individua chi ti vuole più male e rendilo un alleato. Non dovrai più temere nessuno”.
Arrivo al palco, mi siedo sullo sgabello e gli parlo mentre continuo a tenergli la mano sudata. «C’è una canzone che comincia come un discorso lasciato a metà. E fa più o meno così:
and now, the end is near,
and so I got to face the final curtain, curtain».
Qualche applauso sparuto. Ora sono tante le teste che mi osservano. Credo che si sia svegliato persino il ragazzo delle luci. Lo spot è finalmente centrato su di me. Diamogli ancora qualcosa su cui focalizzare l’attenzione.
«My friends, I’ll say it clear,
I’ll state my case,
of which I’m certain.
Perché vedete, il punto non è dove si arriva. Se sul palco di un piccolo locale downtown dove un ragazzo che ha alzato un po’ troppo il gomito si sente in diritto di insultarti,» abbassa lo sguardo lo scemo. Dai che dopo ti faccio una sorpresa, «o al Super Bowl. L’importante è aver portato il proprio sogno dove si vuole. E averlo fatto come nessun’altro avrebbe potuto.
I’ve lived a life that’s full.
I’ve traveled each and ev’ry highway,
and more, much more than this,
I did it my way.
Perché alla fine dei conti è tutto qui. Quando si traccia la riga e si tirano le somme. Quando l’ultimo sipario è calato, l’unica cosa che rimane è ciò che abbiamo fatto e ciò che siamo stati. E se abbiamo seguito la nostra strada, più di tanto non possiamo aver sbagliato». Mi inclino verso il ragazzo. Adesso sono davvero in pochi a non seguire quello che succede sul palco. Sussurro delle parole nelle orecchie del tipo. Lo convinco usando la Voce che è in grado di suonare il pianoforte a muro che è dietro di lui. Hai visto? Eri il mio più grande nemico e adesso se il mio più grande alleato.
Si alza un po’ stordito e stupito, anche lui non sa perché o come, ma sa di potermi accompagnare con la musica. Si siede e senza guardarsi intorno muove le dita sui tasti. All’inizio un po’ incerto. Poi prende sicurezza e dopo un paio di giri riprendo a cantare.
«Regrets, I've had a few;
But then again, too few to mention.
I did what I had to do
And saw it through without exemption
».
Prima ancora di cantare la strofa successiva so di avere tutti concentrati su di me.
«Non importa dove, non importa con chi, non importa quando. L’importante è realizzare il sogno nell’unico modo in cui non potrà farlo nessun altro. E poter cantare alla fine: sì, l’ho fatto a modo mio. E il resto non conterà più di tanto».